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Oggi Ernestino, il maggiordomo, nipote del Conte, vi offre su un piatto di "latta" un consiglio per gli acquisti:
George Romero: L'impero dei morti, della Panini Comics, ai disegni Alex Maleev. La storia non delude ed è all'altezza delle aspettative del lettore. Gli ingredienti non sono nuovi, ma, come ogni buon cuoco, Romero riesce a utilizzarli creando sempre nuove sfumature di sapori con i suoi non morti. Al solito le origini della malattia sono ignote, ma si aggiunge un nuovo tassello alla spiegazione antropologica e scientifica di come pensino e agiscano queste putrescenti creature: non morti che sembrano conservare una parvenza di quello che erano un tempo. Lo zombie sembra avere il quoziente intellettivo di un bimbo di tre anni, per cui sarà una pediatra, mandata dal governo, a studiarne il comportamento, affiancata dal solito cacciatore esperto.
Teatro delle vicende e arena dei combattimenti nuova New York, una metropoli divisa in due: la periferia ancora in mano a ricchi politici, annoiati e corrotti in cerca di emozioni forti e il centro, terra di nessuno, in cui i non morti svolgono una non vita. Una terza razza, abituata a nascondersi nel buio, sembra, meglio delle altre due, essersi adattata al nuovo status quo politico e territoriale. Non vi svelo nulla, ma la copertina da sola vi da tutti gli indizi del caso. In sintesi un condensato di elementi narrativi e cinematografici degli ultimi 40 anni. Affrancata dalla metafora primigenia di Romero legata al consumismo sfrenato e insensato, la narrazione zombie si è emancipata e ancora oggi intrattiene i nostri figli. Maleev lo conosciamo per il suo Devil: ambienti urbani squadrati, vicoli asfissianti, scale antincendio come ragnatele di metallo sospese, un'arena che ricorda il colosseo del Gladiatore di Ridley Scott, monumento alla barbarie del potere centrale, centri commerciali popolati di zombie senza cervello, addestrati al consumo e allo sfogo dei bisogni primordiali, fino agli stadi di calcio dove i massacri sono controllati e circoscritti.
E quest'ultima più che metafora purtroppo è stata Storia. |
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