Per molti ormai è diventata una moda che sempre più raramente produce opere interessanti. Parliamo del fumetto-inchiesta o, se vogliamo seguire la dizione comune che si è imposta, per quanto anglofona, del grapic journalism. Un modello che spesso assume connotati di affinità e si contamina con il fumetto autobiografico: guarda caso un altro genere di successo, ma di recente caduto per gli stessi motivi sotto la mannaia dei detrattori.*
Tanti gli esempi illustri: dall'opera di Joe Sacco al celebre Il fotografo di Didier Lefèvre; e sull'altro versante (sul filo della memoria) Palacinche dell'italiano Tota e (perché non includerlo) un capolavoro come Maus (un'intervista al proprio padre sopravvissuto dai campi di sterminio nazisti).
Per i tipi di Coconino è arrivato in giornata alla libreria del fumetto un nuovo titolo che s'inserisce a pieno titolo nel genere: Noi non andremo a vedere Aushwitz. Per chi desidera saperne di più, rimando allla scheda presente sul sito Coconino.
L'ho sfogliato e mi è parso meritevole di lettura. D'altra parte come potrebbe il sottoscritto, da anni minuscolo finanziatore, attraverso il 5 per mille, dell'Archivio Diaristico Nazionale, ascriversi al gruppo dei detrattori di cui si parlava poc'anzi?
Insieme al titolo citato, sono arrivati fumetti degli editori Jpop e Lizard che trovate nell'elenco sottostante:
Editore |
Titolo |
COCONINO |
NOI NON ANFREMO A VEDERE AUSHWITZ |
JPOP |
B.ICHI # 2 |
JPOP |
I GIORNI DELLA SPOSA |
JPOP |
SEKIREI # 1 |
LIZARD |
LO SCONOSCIUTO (INTEGRALE) |
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*Un esempio di tali critiche lo offre Andrea Queirolo su Conversazioni sul Fumetto: «Non vi è più la ricerca di un messaggio o il voler rendere partecipe il
lettore di un evento, ma un semplice raccontare se stessi e la propria
vita. Siccome questa non è più una novità, ma è diventata la norma, il
risultato è davvero imbarazzante. Come fanno decine di autori a pensare
che la loro vita possa interessare al pubblico? La risposta che mi do è:
in realtà non lo sanno e forse neanche lo pensano. Fanno un fumetto del
genere solo perché è così che si usa adesso o, molto più semplicemente,
perché non hanno nulla da raccontare.» |
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